mercoledì 30 giugno 2010

Quando muore una città

Cosa sia una città tutti pensiamo di saperlo, ma poi, se dobbiamo darne una defini¬zione, ci troviamo di colpo disorientati ed in genere si finisce per identificarla in un concetto economico, per il quale essa è sostanzialmente un luogo dove si svolge un processo di accumulazione e di trasformazione della ricchezza. Oppure si mette l’accento sulla città quale centro di attrazione e di coordinamento, soprattutto in campo politico-amministrativo, religioso e culturale. Il concetto di Città caro a molti cittadini lucchesi, assottigliatisi di numero per il degrado crescente della vita dentro le Mura urbane e nell’immediata periferia, non esclude i due importantissimi aspetti suddetti; li integra, però, con qualcosa di più: la città è anche un modo di vivere, uno stato d’animo, un modo di essere fatto di relazioni, di intensi rapporti sociali, di coscienza civica, di orgoglio municipale. Non casualmente i termini “civile” e “civiltà” derivano da “città”, ossia “civitas” ed altri termini usati in modo positivo, come “urbano” o “politico” vengono contrapposti a quelli negativi di “incivile”. Carlo Cattaneo, del resto, parlava delle nostre città “come principio dell’istoria italiana”. Finché esisterà questa consapevolezza, la città vivrà. L’impressione attuale, purtroppo, è che Lucca stia rischiando di morire, venendo sempre più considerata come un bene strumentale, dove concentrare migliaia di variopinti e bizzarri personaggi per la mostra dei Comics, o per qualche spettacolo musicale o sportivo di massa. Mentre coloro che vivono dentro le Mura vedono ogni giorno peggiorare la loro condizione materiale, non trovando posti per parcheggiare, negozi adeguati, servizi efficienti, imparzialità e regole valide per tutti.
Ma la nostra città rischia di morire anche quando un negozio storico chiude, come sta per fare la Tipografia Biagini, costretto dalle aride regole di mercato e dalle Istituzione che restano indifferenti alla scomparsa di certe attività che sono parte viva della tradizione, del gusto di vivere, della cultura lucchese. Nessuno degli esercizi commerciali moderni riuscirà mai a farsi apprezzare alla Galleria Necomachi di Tokio per il valore artistico della tipografia tradizionale, come ha saputo fare, nel 2007, la stamperia di Via S. Giustina. Molto difficilmente personaggi di fama mondiale commissioneranno più ad un’ altra impresa lucchese i loro biglietti da visita, la carta intestata, i Libretti per le Nozze, gli ex libris (per i quali la specifica Enciclopedia Internazionale assegna alla Biagini il primo posto tra tutte le tipografie europee). E Lucca verrà cancellata dalla loro mappa geografica se i cittadini e ancor più chi li amministra, non si porranno il problema del giusto equilibrio nella qualità della vita, trovando una sintesi tra le necessità di un mercato moderno e la sopravvivenza di quelle attività artigianali o commerciali che mirano alla ricerca del bello, che non debbono essere sopraffatte da chi persegue solo la ricerca della quantità, o da chi si basa su una filosofia che privilegia l’apparire sull’essere. Perché ancora esiste chi ama la lettura di un buon libro, la visita ad un museo, che ambisce a dignitosi rapporti col prossimo e che pur di vivere in una società più civile e più serena, è disposto anche ad una limitazione del proprio status economico. Se scompariranno anche coloro per i quali il successo non si misura solo sul denaro (pur importante, ma che non è fine a se stesso) ecco che allora la città morirà davvero, ma con essa se ne andrà qualcosa della nostra esistenza, che è poggiata sugli sforzi di chi ci ha preceduto e la ha ingentilita con l’arte, la bellezza, la cortesia e la cultura.

Roberto Pizzi

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