lunedì 27 settembre 2010

Ricorrenza del XX Settembre - Saluto del Coordinatore Regionale del PRI Luca Santini

Cari Amici, vi porto i saluti della Federazione toscana del Partito Repubblicano Italiano e segnatamente di tutti quei Repubblicani che avrebbero voluto essere qui presenti e che per impedimenti diversi non hanno potuto partecipare.

Prioritariamente il saluto ed il ringraziamento va agli “Amici del XX Settembre”, che ho conosciuto da poco e che ho subito apprezzato, con meraviglia ed ammirazione, per la costanza con cui hanno saputo dar vita ad una interessante tradizione ritrovandosi qui in questa piazza, ogni anno a partire dal 1948.
Abbiamo detto e scritto che i Repubblicani sono qui, non soltanto per celebrare festosamente una data storica dell’Italia, ma anche, e lasciatemi dire soprattutto, per riaffermare i valori laici dello stato e per difendere l’unità d’Italia in un momento in cui la politica confonde questi valori o una politica confusa, sbagliando, crede che questi valori siano, oggi, acquisiti, o tanto peggio, pensa di poterne fare a meno.

Non starò, certo, a parlarvi del XX Settembre perché tutti voi già sapete che cosa è e che cosa rappresenta per Noi Repubblicani questa data.

Ma non posso non ribadire, però, le ragioni che ci fanno amare questa ricorrenza, e ci fanno commuovere, nonostante che per altri tutto ciò appaia come sentimento retrò, naif, roba da cartolina polverosa.

Noi conosciamo quelle ragioni, altri, purtroppo, non le sentono.

Noi siamo fieri del XX Settembre perché i nostri predecessori, i nostri antenati politici, erano lì, e varcando la breccia di Porta Pia, misero in ginocchio il potere temporale dei Papi, unificando l’Italia.

Quel giorno, infatti, si compì il sogno mazziniano dell’Italia unita e libera, si completò l’opera di Garibaldi e dei garibaldini e si concretizzò, bisogna dirlo per onestà storica, anche il disegno strategico di Cavour.

In quel giorno nacque la Patria, l’ Italia che sognavamo, ma che sappiamo non essere ancora compiuta.

Quel giorno si suggellò lo scrigno dei valori fondanti del movimento repubblicano che più tardi, nel 1895, dette luogo al Partito Repubblicano Italiano, il Partito dell’edera.

In quello scrigno c’erano e ci sono tutt’oggi i nostri valori: la libertà dei popoli, una rigorosa laicità dello Stato, l’europeismo, la democrazia, i diritti civili, un’economia libera e partecipata.

Ecco, cari amici, perché oggi siamo qui.

Per gridarlo forte ogni anno, contro i rischi moderni dell’involuzione, delle spinte corporative, delle spinte secessionistiche, delle etnie, dei neo populismi, dell’ignoranza e della barbarie intellettuale.

Sono questi i nostri valori cardine e da essi traggono origine i nostri ideali.

Le società mutano, i valori le sorreggono, gli ideali restano perenni.

Un grazie, un grazie di cuore a tutti Voi.

Viva il XX Settembre, Viva i Repubblicani.

Luca Santini

XX Settembre. Lucca ricorda l’evento storico che segna una tappa fondamentale del processo di unificazione dell’Italia.

Cari amici, è sensazione diffusa che il 150° anniversario dell’unità d’Italia venga subìto di mala voglia da molti politici, quasi fosse una perdita di tempo. Del resto, l’anno passato, fra i fischi all’Inno di Mameli e gli insulti al tricolore, si consigliava la lettura di quel libro della storica “revisionista” che riproponeva il Risorgimento come una guerra maligna fatta per rompere l’idillio di un paese che, prima della presa di Porta Pia, era felice sotto l’egida del Papa. Quest’anno, invece, si assiste alla sceneggiata del festival di Venezia, dove il ministro Bondi finanzia presuntuosi registi che ripropongono vecchie tesi marxiste trite ed ignoranti, atte solo a demolire il Risorgimento, nelle quali si definisce Mazzini un terrorista, maestro dei fondamentalisti dei giorni nostri.

Nel frattempo la società italiana si mostra sempre più disarticolata e soggetta a spinte secessioniste.

Nell’ anno del “giubileo della patria”, come venne definito il 1911, gli italiani festeggiarono i primi cinquant’anni di unità politica, credendo che si aprisse la via del progresso. Non era così: molte erano ancora le fratture da sanare, molti gli errori e le ingiustizie commesse. La classe liberale dell’epoca, certo con ampie dose di retorica, compiendo anche forzature storiche, aveva cercato lodevolmente – perché non riconoscerlo - di superare le divisioni ideologiche del Risorgimento, esaltando il primato della nazione, per creare finalmente la patria di tutti gli italiani. Anche il grande sindaco di Roma, Ernesto Nathan, aveva esaltato il “miracolo nell’associazione delle forze separate”, lasciando da parte le aspre lotte che avevano contrapposto i patrioti del Risorgimento. L’operazione sincretista trovava iconografia nei vari “santini laici”, nei manifesti, nei ritratti che accomunavano “Mazzini, l’apostolo; Garibaldi, il guerriero; Vittorio Emanuele II, il re; Cavour, lo statista”. Certo, le forzature erano evidenti in questo assemblaggio di personaggi, ognuno dei quali coltivanti un progetto unitario diverso. Ma pensando al fatto di essere riusciti a costruire l’edificio dello Stato unitario, superando gli ostacoli rappresentati dalle ostilità della Chiesa,

dal brigantaggio, dalle sfortunate campagne militari, dalla varie sommosse locali, passando attraverso la crisi politica di fine secolo e l’assassinio del re Umberto I, si poteva anche apprezzare la costituzione dello Stato nazionale, il quale, con tutti i suoi limiti e le sue carenze, era pur sempre una tappa fondamentale per l’inserimento dell’Italia nella civiltà moderna.

La celebrazione del più recente centenario dell’unità, nel 1961, già rappresentò un’altra storia. Stavolta, il protagonista non era lo Stato nazionale, come nel 1911, bensì la Divina Provvidenza che i governanti democristiani indicavano quale vera ispiratrice e artefice dell’unità d’Italia. La loro tesi era che il processo di unificazione del paese era stato una serie di fallimenti - da Novara a Caporetto, fino alla Resistenza - e la causa degli insuccessi era nell’origine stessa dello Stato italiano. Solo con la conciliazione fra Stato e Chiesa e con l’Italia consacrata quale “feudo di Maria”, come fu detto in quei tempi, il paese poteva ritenere compiuta la sua unificazione. Era un’operazione di riscrittura retrospettiva della storia che negava ogni progresso civile e sociale conseguito dagli italiani durante il regime liberale. I protagonisti del Risorgimento non erano stati i patrioti laici, bensì la Chiesa ed i cattolici. L’opposizione di sinistra finì per affiancarsi a costoro, dipingendo la storia italiana dopo l’unità come una vicenda dominata dalla lotta fra borghesia reazionaria e classe operaia, denunciando il fallimento del Risorgimento, giudicato come una rivoluzione mancata.

Non mancarono voci del mondo laico che contestarono sia sul piano della verità storica, sia sul piano dei valori e degli ideali, le rappresentazioni dell’unità italiana proposte da cattolici e comunisti. “Il Mondo” di Pannunzio usò i termini “spudorato e disgustoso”, per la mistificazione compiuta. Eppure, a soli 15 anni dalla disfatta della guerra, l’Italia unita si stava risollevando dalla distruzione e dalla miseria e gli italiani avrebbero potuto guardare con “ragionevole ottimismo” al futuro, se si fossero ricordati che ancora nel 1946 il Meridione era percorso da treni che procedevano a passo

d ‘uomo, fra un ponte semidistrutto e un campo minato, che a sud di Latina era tornata la malaria e l’Appennino era infestato dal brigantaggio. Grazie agli aiuti internazionali, alla liberalizzazione del commercio con l’ estero degli anni Cinquanta, voluta da un personaggio dell’Italia della Ragione caro agli amici Repubblicani presenti, Ugo La Malfa, alla volontà ed alla fantasia italiana, in poco più di un decennio si era giunti al “miracolo economico”. Dalla Lambretta e dalla “500” di Valletta e Agnelli, venne una ventata di dinamismo e di libertà per migliaia di persone le cui famiglie avevano avuto per secoli come base alimentare il mais macinato, o la farina di castagno, convivendo con i deficit proteici che portavano la pellagra ed altre malattie. Non pochi furono coloro che poterono vedere il mare per la prima volta nella loro vita. Anche allora autorevoli osservatori ammonirono sulla fragilità della condizione economica, se ad essa non fosse dato un fondamento unitario ed un centro morale rappresentati dallo Stato. Essi frenavano saggiamente i facili ottimismi, ricordando che una democrazia senza patriottismo ha vita stentata e che “non c’è patriottismo senza una buona politica; ma non ci può essere buona politica senza patriottismo”.

Nei decenni successivi, infatti, la nazione subiva altre e più potenti spinte disgreganti, arrivando, infine, all’appuntamento del 150° anniversario della sua unità, afflitta dalla sfiducia nella propria esistenza. Molti pensano che la nascita dello Stato unitario sia stato un errore e che una nazione italiana non sia mai esistita: quindi ritengono che non dovrebbe esistere neppure uno Stato italiano. Essi non comprendono che la Nazione, in fondo, “è una grande solidarietà, costituita dal sentimento dei sacrifici compiuti e da quelli che si è ancora disposti a compiere insieme. Essa – è stato detto - presuppone un passato, ma si riassume nel presente attraverso un fatto tangibile: il consenso, il desiderio chiaramente espresso di continuare a vivere insieme”. Purtroppo, molti Italiani non hanno mai avuto il sentimento comune dei sacrifici compiuti insieme ed il ricordo del passato non è un “simbolo” che mette insieme due parti distinte. Paradossalmente sembra che per unire il nostro popolo, sia necessario avvalersi dell’Oblio, che cancella il ricordo che divide. Alcuni propongono di istituire le “Giornate dell’Oblio”, anziché le “Giornate della Memoria”, perché così lo Stato potrebbe sopravvivere e gli italiani anch’essi potrebbero continuare a vivere… Ma come gli animali, che l’uomo invidia – secondo Nietzsche – perché questi dimenticano subito e vagano in un presente senza storia. E’ evidente, per le persone ragionevoli, che al momento, nessuno, tanto meno gli italiani, possono evitare di vivere e camminare in un mondo di nazioni e di Stati nazionali, i quali, se spesso hanno provocato sofferenze e persecuzioni, hanno anche permesso a milioni di individui di conquistare un maggiore benessere, una maggiore dignità e una maggiore libertà. Se fosse vero che “la storia insegna che dalla storia non si impara nulla”, allora anche noi saremmo qui a cercare “farfalle sotto l’arco di Tito”, come scriveva il Carducci. Ma noi – senza volere accreditare il messaggio sbagliato del “denaro sterco del diavolo” – siamo ancora convinti che la storia di un paese come il nostro non è da ricondurre esclusivamente al mito della “fabbrichetta” del Lombardo – Veneto, mentre il resto rappresenta una sovrastruttura inutile. Shakespeare nel suo Amleto scriveva: “ci sono più cose in cielo e terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia”.

Ecco perché rispettiamo ed onoriamo la data del XX Settembre, che non è un dispetto anticlericale, essendo disposti a rispettare la religione del nostro paese se essa non pretende di sostituirsi alla sfera politica.

Viva l’Italia unita, Viva il XX Settembre.

Roberto Pizzi.

lunedì 6 settembre 2010

LE PIETRE DEVONO SERVIRE PER COSTRUIRE, NON PER LAPIDARE A MORTE. APPELLO PER SAKINEH

La Lega Internazionale per i Diritti dell’Uomo, sezione di Lucca, invita a sottoscrivere un appello per salvare la vita di Sakineh, la donna iraniana di 43 anni che rischia la lapidazione per adulterio, da parte di fanatici pervasi da uno spirito santo che autorizza ad uccidere chi si dimostra incredulo o empio.
Confessiamo che di fronte ai molti crimini compiuti in nome di presunte, sanguinarie religioni ci assale un senso di sgomento. Ci soccorre, però, la speranza nella Ragione, spregiata da chi la definiva meretrice del diavolo, dalle varie Inquisizioni, da chi processava immaginarie streghe e accendeva roghi contro i liberi pensatori, riempiendo di crudeltà anche le pagine della nostra storia occidentale. Che essa ci soccorra, rafforzata da quella fede laica che riposa sull’esistenza di una morale naturale accessibile a tutti gli uomini, perché tutti gli uomini sono dotati di ragione. Quella fede che insegna il rispetto della persona umana, della nostra come delle estranee, quell’amore per l’umanità, la confidenza nei suoi progressi, il desiderio di contribuirvi, la voglia di resistere alla cooperativa del dogma che ripresenta all’incasso cambiali che credevamo scadute ormai per sempre.
Le pietre devono servire per costruire muri che contengano la furia della natura, strade perché i popoli possano meglio incontrarsi, case per chi non ha un tetto dove ripararsi: non per lapidare a morte. Chi le usa per questo scopo nefando non è degno di vivere nel consorzio umano.
Anche le parole, a volte, se usate male possono diventare pesanti come macigni ed avvilire, ferire, anche uccidere, ma se usate con sentimento, come per questo appello alla salvezza della donna iraniana, possono contribuire ad edificare l’edificio dell’umana tolleranza: LIBERATE E RISPETTATE SAKINEH !

L.I.D.U.
Sezione di Lucca