mercoledì 30 giugno 2010

Tito Strocchi

La Sezione del PRI Lucchese è intitolata a Tito Strocchi, eccovi una breve biografia.

TITO STROCCHI, CAVALIERE DELL’IDEALE

Nato a Lucca il 26 giugno 1846, da genitori romagnoli, si laureò in Legge a Pisa, alla fine del 1866, dopo una prima rinuncia all’esame di laurea, sempre in quell’anno, per combattere da volontario nella III Guerra d’Indipendenza. Con scarsa passione iniziò il tirocinio legale presso l’avv. Martini e solo nel 1873 si iscrisse all’albo degli avvocati di Lucca, per esercitare la professione a Bologna, poi a Massa e a Pietrasanta. Più portato per la letteratura e la politica, scrisse poesie, lavori teatrali e prose ed ebbe un’intensa attività giornalistica, fondando a Lucca “Il Serchio”, collaborando poi alla “Voce del Popolo” di Bologna, al “Corriere della Provincia di Massa”, alla più famosa testata de “Il Dovere”, a “Lo Squillo”di Genova. La sua vita fu breve ma intensa, vissuta senza risparmio, con una grande carica ideale ai più sconosciuta e semmai avversata allora, come nei giudizi postumi, poiché ai molti dispiace trovare nelle virtù altrui lo specchio delle proprie ignavie. Augusto Mancini, invece, lo definì “soldato garibaldino e anima mazziniana”, lodandolo per il coraggio. Dote che dimostrò combattendo con Garibaldi contro lo Stato Pontificio, a Bagnorea, Monterotondo e a Mentana (dove venne catturato e rinchiuso poi in Castel S. Angelo), e contro i Prussiani, nel 1871, a fianco dei Francesi, meritandosi sul campo la promozione ad ufficiale. Con altrettanto coraggio operò a fianco di Mazzini, che lo riteneva uno dei suoi uomini migliori, organizzando trame sovversive, fra cui i moti insurrezionali lucchesi del giugno 1870, sventati dalle autorità e puniti con il carcere. Libero pensatore, alla sua morte prematura avvenuta il 12 giugno del 1879, gli venne negata dal Municipio la sepoltura nel Cimitero urbano. La reazione dei democratici provocò l’intervento del Prefetto che impose al Comune la revoca del divieto di inumazione, non senza strascichi polemici protrattisi negli anni a seguire. Due famosi uomini di lettere hanno lasciato ai lucchesi un ricordo di Tito Strocchi: Giosuè Carducci che scrisse l’epigrafe tombale ancor’oggi leggibile nel nostro Cimitero urbano e Augusto Mancini che volle i suoi versi incisi nella targa monumentale dello scultore Francesco Petroni, apposta nel giugno del 1913 sotto il loggiato del Palazzo Pretorio.
Roberto Pizzi.

Quando muore una città

Cosa sia una città tutti pensiamo di saperlo, ma poi, se dobbiamo darne una defini¬zione, ci troviamo di colpo disorientati ed in genere si finisce per identificarla in un concetto economico, per il quale essa è sostanzialmente un luogo dove si svolge un processo di accumulazione e di trasformazione della ricchezza. Oppure si mette l’accento sulla città quale centro di attrazione e di coordinamento, soprattutto in campo politico-amministrativo, religioso e culturale. Il concetto di Città caro a molti cittadini lucchesi, assottigliatisi di numero per il degrado crescente della vita dentro le Mura urbane e nell’immediata periferia, non esclude i due importantissimi aspetti suddetti; li integra, però, con qualcosa di più: la città è anche un modo di vivere, uno stato d’animo, un modo di essere fatto di relazioni, di intensi rapporti sociali, di coscienza civica, di orgoglio municipale. Non casualmente i termini “civile” e “civiltà” derivano da “città”, ossia “civitas” ed altri termini usati in modo positivo, come “urbano” o “politico” vengono contrapposti a quelli negativi di “incivile”. Carlo Cattaneo, del resto, parlava delle nostre città “come principio dell’istoria italiana”. Finché esisterà questa consapevolezza, la città vivrà. L’impressione attuale, purtroppo, è che Lucca stia rischiando di morire, venendo sempre più considerata come un bene strumentale, dove concentrare migliaia di variopinti e bizzarri personaggi per la mostra dei Comics, o per qualche spettacolo musicale o sportivo di massa. Mentre coloro che vivono dentro le Mura vedono ogni giorno peggiorare la loro condizione materiale, non trovando posti per parcheggiare, negozi adeguati, servizi efficienti, imparzialità e regole valide per tutti.
Ma la nostra città rischia di morire anche quando un negozio storico chiude, come sta per fare la Tipografia Biagini, costretto dalle aride regole di mercato e dalle Istituzione che restano indifferenti alla scomparsa di certe attività che sono parte viva della tradizione, del gusto di vivere, della cultura lucchese. Nessuno degli esercizi commerciali moderni riuscirà mai a farsi apprezzare alla Galleria Necomachi di Tokio per il valore artistico della tipografia tradizionale, come ha saputo fare, nel 2007, la stamperia di Via S. Giustina. Molto difficilmente personaggi di fama mondiale commissioneranno più ad un’ altra impresa lucchese i loro biglietti da visita, la carta intestata, i Libretti per le Nozze, gli ex libris (per i quali la specifica Enciclopedia Internazionale assegna alla Biagini il primo posto tra tutte le tipografie europee). E Lucca verrà cancellata dalla loro mappa geografica se i cittadini e ancor più chi li amministra, non si porranno il problema del giusto equilibrio nella qualità della vita, trovando una sintesi tra le necessità di un mercato moderno e la sopravvivenza di quelle attività artigianali o commerciali che mirano alla ricerca del bello, che non debbono essere sopraffatte da chi persegue solo la ricerca della quantità, o da chi si basa su una filosofia che privilegia l’apparire sull’essere. Perché ancora esiste chi ama la lettura di un buon libro, la visita ad un museo, che ambisce a dignitosi rapporti col prossimo e che pur di vivere in una società più civile e più serena, è disposto anche ad una limitazione del proprio status economico. Se scompariranno anche coloro per i quali il successo non si misura solo sul denaro (pur importante, ma che non è fine a se stesso) ecco che allora la città morirà davvero, ma con essa se ne andrà qualcosa della nostra esistenza, che è poggiata sugli sforzi di chi ci ha preceduto e la ha ingentilita con l’arte, la bellezza, la cortesia e la cultura.

Roberto Pizzi

Partito Repubblicano

Fra tutti i partiti storici del nostro paese, l’unico che ha conservato il suo simbolo e il suo nome è il P.R.I. E dentro questo simbolo dell’Edera vi è un grande amore di stampo risorgimentale per l’Italia. I repubblicani lucchesi, offrono questo simbolo alla rete, per metterlo a disposizione di tutti, anche di chi non è mai stato Repubblicano, ma che comunque sente che qualcosa noi abbiamo rappresentato nella storia del Paese e che forse possiamo ancora essere utili: le porte sono aperte, poiché se noi ci connotiamo politicamente con la nostra gloriosa sigla, è anche vero che la nostra essenza è la laicità, che è la tolleranza e il dubbio rivolto anche alle proprie certezze, la negazione del dogmatismo, la volontà di confrontarsi ed ascoltare anche le ragioni altrui. La nostra speranza è che questo esperimento ci aiuti a metterci in contatto con molti cittadini, per sviluppare con loro un’area politica laica e liberaldemocratica, che non ha adeguata rappresentanza nell’attuale quadro politico italiano e lucchese. Roberto Pizzi.